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2.12.16

Il suo nome era Pezzettino.



Crescere è un miracolo che viene dato per scontato
Karl Taro Greenfeld




Ogni volta che guardo mio figlio, mi sembra di avere davanti un bambino diverso.
Il suo corpo cambia, il suo viso cambia...ma non solo.
E' come se a quel bambino che penso di conoscere bene, si aggiunga regolarmente un nuovo elemento che mi costringe a fare il refresh della pagina web, per avere accesso alla sua immagine autentica.
E' un'operazione costante poiché gli aspetti del cambiamento sono molteplici e, in realtà, non è possibile avere una visione chiara dell'insieme. Si potrebbe dire che un bambino sia, per definizione, immagine in movimento.
Da qui la necessità di fermare gli attimi che riteniamo importanti e che sono in grado di aiutarci a fissare le tappe del percorso di crescita. 
La cosa più difficile è scrivere annotazioni relative ad ogni fase e catalogare secondo un ordine specifico tutte le testimonianze fotografiche/video che siamo riusciti a raccogliere.
E' facile scattare una foto, più complesso trovargli un posto che non sia solo quello dell'album dei ricordi.
Bisogna fare ordine mentale per individuare, tra le migliaia di foto che ingombrano la memoria dei nostri telefoni, ciò che veramente merita di essere conservato nel tempo.
Sinceramente, non sono mai riuscita a mettere in pratica l'idea di realizzare una sorta di diario che documentasse attraverso parole e immagini gli anni della sua prima infanzia. Succede anche a voi, immagino, che lo stress  della vita quotidiana vanifichi gli obiettivi che ci prefiggiamo.
Però ritengo che costruire una mappa ragionata del percorso di crescita sia un regalo prezioso da lasciare a un figlio. Inoltre penso sarebbe utile a me adesso, perché spesso è difficile orientarsi e anche se ne abbiamo tutti avuto esperienza diretta, il mondo dell'infanzia rimane per molti versi oscuro e intricato.

Cosa fare quando non siamo sicuri di sapere dove ci troviamo e se stiamo affrontando una situazione nel modo giusto?
Per fortuna ci vengono in soccorso i libri. Sempre.
A quattro anni e mezzo, il piccolo di casa ne vanta una collezione di oltre un centinaio.
Nel tempo, siamo riusciti a creare una personale biblioteca in cui è altamente probabile trovare un libro per ogni stato d'animo, un libro per ogni domanda o curiosità che baleni nella mente del bambino.


Sono particolarmente sensibile alla bellezza delle illustrazioni e ritengo che molti tra i picture books siano vere opere d'arte.
Confesso: non compro mai un libro se non mi piace lo stile delle illustrazioni e buona parte di quelli che possiede mio figlio sono stati acquistati secondo questo criterio di valutazione.

C'è però un libro che va al di là di qualsiasi giudizio estetico.
E' semplicemente un capolavoro che supera il concetto di narrazione linguistica e figurativa.

"Pezzettino" di Leo Lionni.

Se ancora qualcuno non conosce questo libro, troverà utile sapere che il protagonista della storia (non ci è dato di conoscere altre caratteristiche se non le sue dimensioni) sia giunto, dopo una ricerca sofferta ma determinata, all'individuazione di se stesso e alla sua collocazione nel mondo.

Una storia semplice e insieme complessa poiché stimola il lettore a viaggiare su un livello di astrazione filosofica.
Senza dubbio è una lettura adatta anche ai più piccoli perché, in fondo, chi meglio di un bambino sa porre domande tali da mettere in difficoltà un adulto? E' evidente che ci sia una predisposizione innata nell'interrogarsi su questioni che toccano il nostro essere nel mondo e su come dobbiamo confrontarci con gli altri.

Mi sono sempre chiesta se mio figlio  avesse compreso veramente questo libro. 
Sapevo bene che Pezzettino era un personaggio da lui molto amato, tuttavia mi chiedevo se fosse riuscito a cogliere anche gli aspetti più profondi, difficili da interiorizzare per un bambino della sua età.
Il giorno che l'ho ascoltato leggere il libro, non ho avuto più dubbi.
Lui ERA Pezzettino! Non solo aveva interiorizzato le caratteristiche del personaggio, ma riusciva a riprodurne i differenti stati d'animo con la sua voce.
Quando gli ho chiesto di leggere il libro, avevo in mente qualcosa di lineare. Mi bastava arrivasse alla fine dell'ultima pagina, senza fare silly voices, o canticchiare le parole invece di leggerle normalmente.
Ha imparato a leggere un anno fa, ma è pur sempre un bambino piccolo che si diverte a fare cose buffe, soprattutto se gli si chiede di non farle.
Perciò questa che vedrete è la versione buffa di Pezzettino, interpretata dal piccolo Flavio, aggiungendo qua e là improvvisazioni ma soprattutto tanti pezzettini di se stesso.
L'ho soprannominata"Buona la prima!" perché non si può certo chiedere a un bambino di leggere un libro, per la seconda volta di seguito. (In realtà ne esiste una versione antecedente, interamente cantata
-ed è la sua preferita- in cui si diverte a seguire le parole del testo intonandole secondo una melodia inventata).
In entrambi i casi, ciò che colpisce è la spontaneità e la creatività libera da strutture preconfezionate.





Per comprendere il mondo interiore di un bambino non possiamo limitarci ad ascoltare quello che ci dice, poiché per lui  è ancora complicato esprimere attraverso il linguaggio ciò che sente nel profondo.
Dobbiamo entrare in stretta relazione con il suo linguaggio non verbale e aiutarlo a crescere rispettando la sua intima natura.
Per queste ragioni è stato uno step naturale e necessario, chiedere a mio figlio di fare, successivamente alla lettura del libro, il disegno di Pezzettino. 
Un modo efficace per indagare i vissuti emotivi di un'esperienza, sia pure semplice come quella della lettura di un libro.
Ciò che mi incuriosiva sapere era cosa avesse interiorizzato del libro e cosa avrebbe scelto di rappresentare.
Il gesto grafico ci restituisce l'immagine che il bambino ha di se stesso, fornendo importanti informazioni sul carattere, sulla personalità, così pure sul suo modo di relazionarsi con gli altri.
E lui ha scelto di porre, accanto al suo Pezzettino, "The one-who-runs" (Quello che corre) perché -immagino- la cosa che gli piace fare di più e in cui si sente imbattibile sia appunto correre.
Se ogni disegno è espressione del Sé del bambino, è anche vero che ogni rappresentazione grafica segue le fasi del suo sviluppo cognitivo.
Non stupisce quindi che, accanto alle immagini, compaiano alcune parole.  
Il foglio è un luogo dove proiettare se stesso nella sua interezza, perciò se in questo momento della sua vita, sta esplorando con passione il mondo della parola scritta, sente ovviamente l'esigenza di comunicare anche secondo questa modalità. 
E, in fondo, non è proprio questa l'essenza di un picture book? La capacità di dialogo tra due linguaggi differenti ma in stretto rapporto. Si può affermare che un buon picture book si riconosca anche dal livello di fusione del testo con l'immagine. Non debbono essere considerati separatamente, ma l'uno completa l'altro.




"Today Pezzettino was sad. What will happen next?
It is a windy day. Pezzettino was happy. The end"

Alla mia domanda sul perché avesse scritto quelle parole, risponde
"Mamma... quelle non sono le parole del libro, è quello che pensava Pezzettino!"

6.11.16

Halloween e la questione degli ormoni



La mattina del 31 ottobre, i commessi di un noto supermercato giravano come ogni anno all'interno del locale, mascherati da zombies, vampiri e altri personaggi tipici della notte di Halloween.
La cosa buffa è che, contemporaneamente, veniva allestito un albero di Natale.
Non si può perdere tempo quando si tratta di dare nuovi obiettivi al consumatore: Goodbye Halloween, Hello Christmas!
Non avevo mai celebrato la festa più spaventosa dell'anno, prima di trasferirmi qui a Londra.
I primi anni, ci siamo limitati a intagliare la zucca e poco altro bastava per farci entrare nell'atmosfera giocosa che sentivamo fuori, intorno a noi. 
Guardando questo vecchio video, provo una tenerezza infinita nel vedere mio figlio incantato davanti a quell'oggetto misterioso e ridere con l'ingenuità tipica di un bambino che deve ancora scoprire tutto.





Nel tempo, la zucca, qualche decorazione e gadgets buffi sono diventati una piacevole tradizione di famiglia.
Ma l'anno scorso, la mia amica americana ci fece uscire dal guscio, invitandoci al suo Spooky Party.
Nonostante la festa di Halloween abbia radici celtiche, sappiamo tutti quanto sia amata in America.
Impossibile rifiutare l'invito; fui costretta a vincere le mie resistenze a fare parte di qualcosa che, in fondo, mi aveva sempre fatto sentire un po' a disagio. Diciamolo pure, sono una fifona e scherzare su certi argomenti mi inquieta. 


Tuttavia l'entusiasmo della mia amica (qui sopra a destra) era così contagioso da farmi apprezzare l'idea di passare una notte bizzarra in compagnia di persone con l'unico intento di lasciarsi andare e divertirsi.


E infatti... ci siamo divertiti tantissimo! Se le prime volte non si scordano mai, il party della mia amica K. resterà sempre nel mio cuore. 




Come ogni anno, la settimana che precede Halloween coincide con le vacanze di scuola di half- term, perciò oltre il parco, qualche festa di compleanno a tema, abbiamo usufruito di alcune free kids activities.
Una delle cose che adoro di questa città è la vasta offerta di attività gratuite per bambini durante tutto l'anno. Un prezioso supporto nei weekend e durante gli half-term, quasi un salvavita per genitori e figli.
Però bisogna dire che il piccolo bambino che rideva davanti alla zucca, ormai non si accontenta di piccole cose e di essere intrattenuto per poche ore. Si sente grande e prende iniziative.  Ha necessità di soddisfare continuamente la sua voglia di creare e inventare giochi.
Quindi decide che la zucca da intagliare venga ora disegnata da lui, così come tutte le decorazioni che con pazienza ritaglia, dando precise indicazioni su dove debbano essere attaccate.
E poi grazie a un libro "Funny bones" datogli da leggere a scuola, abbiamo passato la settimana a inventare nuovi modi per spaventarci l'un l'altra.




Non poteva mancare, infine, l'appuntamento in biblioteca con i crafts dedicati alla festa di  Halloween.



supereroe sì, ma con felpone sotto... 

Stimolare la creatività per mezzo di carta e colori è un'attività semplice che riesce a dare grandi soddisfazioni, tuttavia in cima alla lista dei desideri di un bambino non c'è niente di più eccitante che esplorare un territorio  misterioso.
Halloween pumpkin trail è un percorso avventuroso alla ricerca di zucche intagliate , case spaventose, personaggi terrificanti e allestimenti a volte un po' inquietanti anche per un adulto.



La preoccupazione che mio figlio potesse essere turbato per ciò che avrebbe visto lungo quel percorso è svanita subito. In parte perché nel suo piccolo corpicino era in corso una tempesta di ormoni che non gli faceva vedere altro che gli occhi della sua giovane innamorata, e poi perché i bambini, proprio per la loro giovane età, non riescono a decodificare tutto ciò che vedono, non aggiungono cioè significati particolari come noi adulti (a meno che non ne abbiano avuto un'esperienza diretta). Tralasciando qualche caso limite, i bambini sono affascinati da ciò che è mostruoso e ne fanno una sorta di autoterapia. La cosa importante, mentre si pratica un gioco di ruolo di questo tipo, è che ci sia sempre un lieto fine. In questo modo se si proiettano sentimenti di paura, poi si diventa più abili nel gestire simili emozioni anche nella vita quotidiana.






Ma dicevo.. mio figlio è sotto l'effetto di un incantesimo, è innamorato...


...e quindi in quel pumpkin trail ogni cosa era, per lui, illuminata di una luce gentile.






Sarei curiosa di sapere cosa passi realmente nella sua testa, di certo so che è lo stesso bambino a cui piace correre, arrampicarsi e ad esempio...scavare una buca. Poiché di solito gli vieto di toccare la pala del nostro giardiniere, immagino la sua gioia nel poter finalmente usare una pala senza sentirsi dire che sia pericoloso. 
Di certo però non sapeva cosa rappresentasse quel fazzoletto di terra. Confesso, non abbiamo ancora introdotto certe argomentazioni circa gli aspetti oscuri della vita e per fortuna non è mai capitato di doverlo fare. Perciò sebbene all'inizio abbia provato un po' di sconcerto nel vedere mio figlio scavare quella buca, successivamente la reazione è stata inaspettatamente divertita. Un'attività nata spontaneamente da alcuni bambini che vedendo una serie di pale appoggiate a una casina di legno, non ci hanno pensato due volte a imbracciarle come fossero boy-scouts dalle migliori intenzioni.
Non so se i bambini più grandi avessero coscienza di cosa rappresentava quel luogo, in fondo era solo un pezzo di terra e niente più.. un  significato particolare glielo attribuiamo noi adulti.













La nostra settimana di festeggiamenti si è conclusa ovviamente la notte di Halloween , bussando di porta in porta al grido di trick or treat.
Girare di notte lungo strade buie e sconosciute è già un'esperienza che necessita di una dose di coraggio per un bambino piccolo. Figuriamoci se per strada si incontrano individui mascherati come in un film horror e capita di andare a bussare alle porte di case dall'aspetto sinistro.
Ripensando a tutto ciò che ho visto durante la settimana di Halloween, ricordo che a volte abbia avuto la sensazione di trovarmi in una gabbia di matti. Non so spiegare bene, è solo una strana sensazione surreale nel vedere tanti adulti divertirsi in contesti che francamente lasciano poco spazio all'allegria.
Probabilmente nel carrozzone di Halloween, zombies e spiriti maligni perdono agli occhi degli adulti la loro carica terrificante, e vengono spogliati dei loro poteri comunemente attribuiti. Travestirsi, incarnare gli aspetti che inconsciamente ci fanno più paura  è ovviamente un modo per esorcizzare quello che rimane nascosto nell'animo umano.
In questo senso, ognuno di noi può spiegarsi perché tanta eccitazione generale e il motivo per cui Halloween non sia una festa amata solo dai bambini.
E forse è ancora questione di ormoni, anche se di natura diversa.
Quando abbiamo paura, il nostro cervello rilascia cioè una serie di ormoni in grado di favorire uno stato di allerta,  utile a scappare in caso di pericolo.
Tra questi ormoni rilasciati durante la sensazione di paura, ci sono le ben note endorfine e dopamina, che appunto in caso di emergenza ci aiuterebbero a gestire il dolore causato da eventuali shock o ferite.
Se allo stato di allerta generato da questi ormoni non segue un reale pericolo, allora l'effetto che se ne ricava è solo una sensazione di piacere misto a eccitazione.

Purtroppo, nei bambini il sistema di allerta attivato di fronte a un potenziale pericolo non sempre è seguito dal senso di rassicurazione, a causa dell'incapacità di decodificare l'essenza del pericolo stesso. Vale a dire che se un bambino vede un mostro, può in certi casi non comprendere che si tratti di una maschera e rimanerne quindi turbato.
Per esperienza personale devo dire che mio figlio era talmente interessato ad accumulare dolcetti che nemmeno si è accorto di incontrare sul suo cammino personaggi inquietanti , ma per esempio...una mia amica ha raccontato di avere avuto i brividi mentre camminava sul marciapiede con la figlia, dopo che qualcuno mascherato da zombie, le era piombato addosso urlando. 
Come al solito, l'unica cosa da fare è aiutare i bambini a discernere il reale dalla finzione e accompagnarli in qualsiasi esperienza facendoli sentire al sicuro.





Oltre a sfidare la paura del buio e a sviluppare il coraggio di fronte a situazioni ignote, la notte di Halloween è un'occasione per imparare che a volte chi ci sembra avere un aspetto malevolo, possiede invece un cuore gentile e generoso.




15.10.14

piccole scintille di vita

Sono in giro a cercare il regalo per un'amica, quando arriva il messaggio di Anna.
Mi ricorda che oggi è il babyloss, il giorno in cui si commemorano i bambini persi in gravidanza.
"Sì, lo farò" rispondo.

Io, mamma felice, avevo già programmato di accendere una candelina dalle 19 alle 20.
Anche se rabbrividisco al solo pensiero della morte, voglio accendere una luce insieme alle donne che ogni giorno convivono con il dolore della perdita di un figlio.

Entro in un negozio. Devo comprarla questa candelina, non sono certa di averne in casa.
Ce ne sono di ogni tipo in questo reparto eppure non riesco a decidermi.
Ne afferro una molto grande, ha tre stoppini e devo tenerla con due mani tanto è pesante.
E' bella e dà l'idea di tanti cuori accesi.
Sono ancora indecisa però, in fondo una fiamma è simbolica per tutti.
Ma i tre stoppini mi guardano e improvvisamente mi vengono in mente i tre embrioni della mia prima icsi.
Mani e pancia cominciano a vibrare e arrivo alla cassa con gli occhi lucidi.

Cosa fosse rimasto nel mio cuore, di quei potenziali bambini, non lo sapevo. Da quando non hanno passato gli esami delle beta non li ho più considerati.
Erano solo piccole scintille di vita, senza volto, senz'anima. Ché l'anima gliel'attribuisco io quando li penso, li immagino.

Però poi guardo la foto dell'embrione che era, un tempo, mio figlio e la foto del bambino vero che un tempo era quell'embrione.


Dov'è la differenza?



Non si può pensare non siano niente.
Solo perché non posso mostrare tre foto di bambini accanto a questi embrioni, non significa che non meritino considerazione.
Ogni donna che si sottoponga a un transfer, ha la consapevolezza di accogliere una scintilla di vita.

Intendiamoci, non mi identifico con le donne che hanno subito una perdita in gravidanza. Non sono rimasta incinta grazie a questi embrioni.
Tuttavia il sentimento di perdita che allora mi accompagnava, ha generato la necessità di creare qualcosa di tangibile. E' grazie a loro, insomma, che ho cominciato a raccontarmi, ascoltarmi in modo diverso e scrivere. Quasincinta era il blog che mi ha visto nascere come persona nuova e, sono certa, non avrei mai approfondito alcuni aspetti di me se non ci fosse stata quella casa virtuale, quel nido d'amore.

Quando ho conosciuto Anna ero già incinta grazie alla mia seconda icsi.
Lei non ha ancora foto di bambini da mostrare accanto alle sue scintille di vita, ma ne parla in un modo che, poi, per chi la legge è facile immaginarseli.
C'è stato un tempo in cui temevo che l'amore per quelli che lei chiama i suoi angeli l'avrebbe destabilizzata, l'avrebbe portata lontana dalla realtà.
Riconoscevo il suo bisogno di mantenere un dialogo con i  piccoli non nati ma, allo stesso tempo, avevo paura che questo rapporto potesse minare seriamente il suo equilibrio psichico.
"E se l'immagine (o proiezione?) di questi bambini fosse per lei una guida verso percorsi sbagliati?" mi domandavo tre anni fa.
Da allora Anna ha visto interrompersi sei gravidanze. Non ha mai smesso di parlarne, di raccontare quello che i suoi bambini le ispiravano.
Molti non hanno compreso la sua storia, le sue emozioni. Le hanno detto di smettere di pensarci, di rassegnarsi. Di guardare oltre.
Lei riprendeva un po' il fiato, smetteva di scrivere ma poi si riaffacciava più forte di prima, più coraggiosa.
In questi anni ho imparato a conoscerla, ad ascoltarla e a sentire ciò che davvero andava ascoltato.
Mi ha dimostrato che l'amore per i suoi  angeli non l'ha portata allo sbando. Anna è una persona lucida e responsabile, non si è persa.
Continua a raccontarsi con la stessa intensità di quando l'ho conosciuta e, alla fine, ho capito che se tutti avessero riconosciuto l'importanza di quei bambini non nati e avessero dato loro giusta dignità, non ci sarebbe stata l'esigenza di ripetere le stesse cose.
Non si confonderebbe, ancora, il bisogno di far comprendere con l'ossessività.


Dedico a tutte le Anna la mia candela di oggi.

29.7.14

Ri-pensamenti


Navigo un po' in disparte, lasciando raramente tracce del mio passaggio.
Ci provo a chiudere blog e non frequentarne altri. 
Perché?

Solo per dire "Toh, ci sono riuscita!"


Capita spesso di sentire il desiderio di scrivere, più difficile è assecondarlo.
Digitare qualche parola legata al guinzaglio, non corrisponde alla mia idea di scrivere.



Sono come uno di quei criceti costretti a correre dentro a una ruota.
Giro pensando costantemente di chiudere l'ennesima casa virtuale ma dalla ruota, poi, non scendo mai veramente.














Altre cose che avrei voluto dire, a proposito della mia gita a Brighton, sono chiuse qui.

2.6.14

La valigia dei ricordi


Difficile spiegare Genova, città luminosa e grigia.
Non la vedevo da 10 anni, giusto il tempo che hanno impiegato a rifarle il make up.
Ora mi sembra una città vivibile, felice, almeno agli occhi del turista.

30.5.14

Con le migliori intenzioni



Certe cose non si possono rimandare.
Quando si presenta l'occasione giusta, devi approfittarne.
Così prima di fare la nostra vacanza nella vacanza, prima cioè di andarcene una settimana a Genova, siamo stati tre giorni immersi nel verde delle colline romagnole.
Lì abita un vecchio Rambo in pensione, che dopo aver indossato la muta, il paracadute e  una divisa gloriosa, ora trascorre le giornate curando un orto, cuocendo pizze nel forno a legna, salutando il sole al tramonto.
E' mio padre, uomo dalla personalità bizzarra che ha costellato di paradossi la vita della mia famiglia.


Non amo parlare di lui. Non si può spiegare la vita di una famiglia. 




Siamo partiti con le migliori intenzioni, abbastanza rilassati; consapevoli che certi incontri siano più facili da gestire se hai un bambino in grado di monopolizzare l'attenzione su di sé.
Ho pensato che correre dietro al bambino in fuga, avrebbe evitato di ritrovarsi in quelle solite conversazioni dalle quali poi si esce inevitabilmente arrabbiati.  

Sentivo che fosse arrivato il momento, che non potevo aspettare ancora.



La vita è una giostra, quante volte l'ho sentito ripetere.
Mio padre sta benissimo, è un uomo forte e atletico.
Eppure non volevo perdere quest'occasione d'incontrarlo, di fargli conoscere mio figlio.
Di evitarmi qualche rimorso.





Non si può cancellare il passato, perdonare.
Si possono fare regali che nascono dal cuore, però.
Ed è quello che ha detto mio padre mentre mi salutava, un istante prima che entrassi in macchina.
"Mi hai fatto un grande regalo"





28.5.14

somewhere (over the clouds)



Un mese in Italia è decisamente troppo.
C'è il rischio di confondersi a furia di tenere spostato il baricentro.
Tuttavia, nonostante gli effetti collaterali che una vacanza così lunga comporta, penso che volare faccia bene.
Aiuta a ricalibrare la distanza dalle cose.
E' sentirsi una parte insignificante dell'Universo e allo stesso tempo percepire che siamo l'Universo.